I cieli vuoti del nord

Di Massimo Croce

A Tromsø, nella Norvegia settentrionale, lo spettacolo dell’aurora boreale è una vera e propria attrazione turistica. Ma cosa succede se, proprio nei tuoi giorni di vacanza lassú, le luci del Nord decidono di non mostrarsi?

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Sebbene presenti una grande varietà di climi, il continente Europa è quasi completamente contenuto in quella grande zona temperata che si estende dal Tropico del Cancro al Circolo Polare Artico. Solo un lembo di essa si protende oltre il secondo, un pezzo di Lapponia spartito tra Russia, Finlandia, Svezia e Norvegia. Nella parte norvegese di questo territorio, costruita su un’isola incastrata in un fiordo, si trova la città di Tromsø.

Vittorio e Giovanna atterrarono nel suo aeroporto in una fredda giornata di dicembre. Non sarebbe stato difficile, per chiunque li avesse visti, indovinare che si trattava di turisti. Entrambi bruni e cógli occhi castani, carichi di valige e zaini, molto più gonfi di maglioni, cappotti e sciarpe di Roald Amundsen quando si accingeva ad avventurarsi nell’Artide, si guardavano attorno sperduti e incantati nel piccolo aeroporto. Fuori dalle vetrate l’aria del Grande Nord turbinava, soffiando neve, grandine e vapore gelato.

Vittorio e Giovanna erano italiani, e convivevano da tre anni. Venivano da Siracusa, al capo opposto del continente, e non erano mai stati in Scandinavia prima di allora. Avevano scartato completamente altre destinazioni più affascinanti come Copenaghen, Stoccolma o i fiordi, e si erano diretti decisamente a Tromsø per via di un desiderio che entrambi avevano sin dall’infanzia: volevano vedere l’aurora boreale, il verde, scintillante tendaggio che infiamma il cielo della lunga notte artica.

Erano le quindici, ma era già buio: in quella stagione a Tromsø il sole non sorgeva affatto, e gli abitanti dovevano accontentarsi di un pallido chiarore aurorale tra le undici e mezzogiorno. Sebbene tetro, l’autunno era uno dei periodi migliori per vedere l’aurora boreale. Non quel giorno, comunque, c’era una specie di tormenta e il cielo era totalmente coperto di nubi.

Vittorio e Giovanna presero la loro stanza al Polarlys Hotel (“aurora boreale” in Norvegese) e iniziarono a visitare la città.

Fecero un giro al Museo Polare, dove videro un sacco di animali impagliati e appresero della ricchezza di Tromsø nell’Ottocento, ricchezza alimentata dal massacro delle foche e che guadagnò alla città il nome di “Parigi del Nord”. Quindi visitarono l’acquario Polaria, dove videro foche vive giocare cógli uomini e una guida spiegò a tutti perché è così importante rispettare la natura.

Pranzarono in graziosi caffè, dove provarono i sandwich aperti e il formaggio marrone; mentre mangiavano tenevano d’occhio il cielo, che era ancóra cieco e nebbioso.

Il giorno dopo la neve cessò e le nuvole volarono via, ma il cielo era sempre nero come un pozzo di petrolio, vuoto come un palco senza sipario. C’era qualcosa di spaventoso in quell’oscurità, così profonda e completa che la luna stessa pareva sperduta in mezzo alla sua vastità; Vittorio e Giovanna cominciarono a desiderare l’aurora boreale non solo per la sua bellezza, ma perché sembrava l’unica cosa in grado di nascondere quel vuoto vertiginoso, facendo splendere il cielo e restituendogli ancóra una volta il suo significato.

Ma l’aurora non arrivò.

Scarsa attività solare, spiegò la ragazza all’ufficio turistico.

«Da quando sono bambina, non ho mai visto un autunno senza aurora boreale.» raccontò «È strano che questa settimana non sia apparsa affatto. Ma a volte succede. A volte è un po’—come dire?—capricciosa. Dovete armarvi di pazienza e aspettare qualche giorno. Prima o poi si mostrerà. Lo fa sempre.»

I due italiani si resero lentamente conto che, anche se il cielo era buio, l’aurora borealis era dappertutto attorno a loro. Sue rappresentazioni facevano da sfondo alle vetrine dei negozî e agli schermi dei computer, apparivano su migliaia di souvenir come tazze, magliette e cartoline animate; l’aurora era stilizzata sulle insegne di molti edifici e riferimenti al suo nome erano ovunque sulle prue delle navi, nei titoli dei libri, nei menù dei ristoranti. Tutto parlava di essa, tutto la prometteva. Quella città conosceva l’abbagliante spettacolo, l’aveva visto, ed era ormai abituata alla sua gloria; i suoi raggi erano rimasti intrappolati negli alberi, nelle case, nei ghiaccioli che pendevano dai tetti, negli abitanti, nella neve sotto i loro piedi. Solo a Vittorio e Giovanna non era dato viverlo in prima persona, vederlo coi proprî occhi, senza intermediarî.

Spesso credettero di vedere qualcosa, ma a un esame più accurato si accorsero che era una nuvola, una luce artificiale, la scia di un aereo.

Iniziarono a lèggere, su internet, articoli e previsioni delle eruzioni solari, a guardare documentarî che spiegavano come il plasma solare potesse viaggiare nello spazio e finalmente trasformarsi in lampi verdi una volta catturato dal magnetismo terrestre. Alla fine, erano probabilmente più eruditi sull’aurora boreale di tutti gli abitanti di Tromsø. Conoscevano nel dettaglio ogni singolo aspetto del fenomeno, eccetto uno, l’esperienza diretta.

Il loro calendario era coperto di “giorni buoni”, tutti tristemente cancellati da una croce rossa una volta passati senza novità.

Decisero di non pensarci più, e di godersi la vacanza.

Fecero sci di fondo a Tromsdalen, whale-watching nel fiordo, córse coi cani da slitta a Kvaløya, e incontrarono gli indigeni Sami. Visitarono la Cattedrale dell’Artico, la chiesa luterana, la chiesa cattolica, il centro commerciale di Jekta e altri luoghi di culto. Fecero un sacco di attività divertenti, e videro un sacco di cose interessanti, eccetto una.

Un giorno si resero conto che il loro tempo era agli sgoccioli e che le ferie stavano per finire. Il cielo era sempre stato cupo.

Una strana frenesia si impadronì di loro. Decisero che avrebbero visto l’aurora boreale, indipendentemente dalla sua bellezza, intensità o “giorni buoni”; un pallido bagliore, un pulviscolo verde appena visibile sarebbe stato sufficiente.

Pagarono per tutte le “cacce all’aurora” che avevano visto sui volantini turistici, e che avevano scartato come “furti” nei primi giorni della loro permanenza. Fu inutile, e le stesse guide erano perplesse e incapaci di spiegare perché in quel periodo il cielo fósse tanto avaro. Come forma di risarcimento, gli offrirono così tante tazze di tè e torte al cioccolato che i loro denti rischiarono di cariarsi.

La coppia decise di agire per conto proprio, e trascorse molte serate sulla gelida sommità del monte Storsteinen, finché l’operatore della funivia doveva quasi obbligarli a prendere l’ultima córsa.

Vittorio si prese un brutto raffreddore e dovette stare chiuso in camera per il tempo restante della loro vacanza. Riuscirono a prolungarla ma solo di pochi giorni; erano entrambi lavoratori precarî, le loro ferie non erano pagate e stare via troppo a lungo poteva spesso significare perdere il posto. Non volevano chiedere altri soldi ai loro genitori.

Alla fine dovettero partire.

«Siamo stati decisamente sfortunati.» sospirò Vittorio mentre l’aereo iniziava le sue manovre di decollo «Ma forse ci siamo fatti un po’ ossessionare. Abbiamo visto un sacco di cose bellissime, e l’aurora boreale non è così importante, dopo tutto. La natura è piena di fenomeni simili.»

«Forse hai ragione.» rispose Giovanna, guardando fuori dal finestrino. Ma dentro di sé, non riusciva a ricordare alcuno spettacolo che fósse comparabile o almeno simile ad essa.

«Forse un giorno torneremo.» continuò Vittorio «E riusciremo a vederla.»

«Sì, forse.»

Ma non era così facile che visitassero di nuovo la Norvegia. Non in tempi brevi, per lo meno. La vacanza era stata costosa. Sarebbero passati molti anni prima che potessero rimetter piede a Tromsø.

* * *

Il giorno seguente un ragazzo e una ragazza, entrambi biondi e cógli occhi azzurri, camminavano sul ponte di Tromsø, guardando il cielo stellato sopra le loro teste. Era attraversato da una larga scia di luce sfumata, verde e magenta, che cambiava rapidamente forma.

«Sai, Sigrid,» disse Jonas «non riesco davvero a credere che gente da tutto il mondo venga qua per vedere questa cosa. Voglio dire, non è così speciale. Sembra una nuvola di smog!»

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