Crostata al cioccolato

di Vladyslav Biletskyy

«La mia ragazza mi lasciò per un pezzo di crostata al cioccolato».

«Aspetta, cosa hai detto?».

«Ho detto che…».

«Ho sentito quello che hai detto, intendo capire se tu faccia sul serio».

«Si».

«Ma che dici?!».

«Ti dico che è così».

«Un pezzo di crostata?».

«Al cioccolato».

«Fa lo stesso».

«No, era al cioccolato».

«Quindi tu mi vuoi dire che ti lasciò per un pezzo di crostata al cioccolato?».

«Proprio così!».

«Ahahahaha, proprio bella questa».

«Ma ti dico di sì».

«Ma parli di Mia?».

«Si!».

«Questa ce la devi proprio spiegare!».

«Si, ce la devi proprio spiegare!».

«Non c’è nulla da spiegare».

«E non ci lasciare così».

«Si, infatti, raccontaci questa storia della crostata».

«Al cioccolato».

«Sisi, la crostata al cioccolato».

«La volete veramente sapere?».

«Si».

«Certo».

«E va bene, ve la racconto».

«Era da poco iniziato l’autunno e c’era stato quel cambio d’aria tipico del passaggio di stagione. Eravamo seduti in cucina a far colazione e, tipico di casa mia, la porta-finestra era aperta.  Per questo percepivo l’aria diversa. La sentivo addosso, appena entrava, sulla pelle, e non era più calda come quella estiva. Strano far caso a certe cose ma in quel momento mi vennero i brividi ed ecco che capii che stava veramente iniziando l’autunno. Non è la mia stagione preferita, sarò sincero, preferisco di gran lunga la primavera. Ma questo è un cliché. Probabilmente non esiste persona viva che direbbe il contrario. 

Ma a proposito di Mia. Venne a trovarmi per qualche giorno, lo avevamo organizzato da tempo e per noi era sempre un gran momento quello del nostro incontro. Eravamo avidi persino dei secondi che riuscivamo a passare insieme. Soprattutto in quel periodo, non è che ci vedessimo così spesso. È vero, andai da lei un paio di settimane prima, ma si trattò di un puro caso. Una festa nella sua città a cui volli andare all’ultimo minuto. Ci stavamo abituando a star lontani anche più di tre settimane, ma “abituando” forse è la parola meno adatta. Infatti, avevamo cominciato ad avere liti più frequenti e cominciavano ad esserci molti più silenzi. Ci stavamo adeguando alla situazione, non a noi, forse è questo il problema. Stare lontani è dura, ma riuscire a tenere in piedi una relazione a distanza con i due corpi che si cercano in continuazione, con i due spiriti che corrono l’uno verso l’altro, beh… è invivibile.

Ma dove ero rimasto? Ah, si, alla colazione. Insomma, era iniziato l’autunno e quel momento lo stavamo aspettando da molto. Sarebbe rimasta da me per diversi giorni e più giorni avevamo in programma, più eravamo felici. Impazienti. Ma questo sarà piuttosto scontato. Quindi, eravamo lì seduti a far colazione o, per meglio dire, lei era seduta ed io stavo preparando quella che sarebbe stata la nostra colazione. Di solito facciamo così. Sembra quasi una tradizione: a casa mia la preparo io la colazione; a casa sua la prepara lei. Che poi non c’è proprio nulla da preparare ad eccezione del caffè. Si prendono le tazze, si prende il latte, lo si versa nelle tazze, si prende una tovaglia da mettere sul tavolo, si posano le tazze, si prendono un cucchiaio grande e il contenitore dello zucchero e li si posa accanto alla sua tazza, si prendono i biscotti e dolci vari e si posano anch’essi in tavola. Ah, che stupido! Lei, però, il latte lo beve caldo, quindi in mezzo a questi passaggi c’è anche il riscaldamento del latte. Si prendono le tazze, si prende il latte, lo si versa nelle tazze, si prende la tovaglia da mettere sul tavolo, si posa la mia tazza, la sua la si versa dentro un pentolino, si prendono un cucchiaio grande e il contenitore dello zucchero e li si posa al posto dov’è seduta lei, si prendono i biscotti e dolci vari e si posano in tavola, si versa il latte caldo nella sua tazza, si versa il caffè pronto nella sua tazza, si posa la tazza infine. Io il caffè lo bevo alla fine, dentro la tazzina, in minima quantità. Come nel bar, solo che lo fa la mia moka.

A dir la verità, quella moka me la regalò proprio lei quando partii l’anno scorso. Non avevo con me una macchinetta del caffè. Stavo andando all’estero e lì, sarà chiaro, non è così scontato trovare del buon caffè. Quindi, mi portai moka, regalatemi da lei, e della Lavazza. Quella moka era per due tazzine, precise precise. Non a caso riuscivamo a farci la colazione entrambi, quando tornai e me la portai dietro. Lei non beve il caffè da solo, così lo versa nel latte. Le piace così, è cresciuta in quel modo e l’unica cosa che non ho mai compreso è il latte caldo. La prendevo spesso in giro per questo, era una cosa tra noi. Quando mangiava i biscotti, le piaceva intingerli nella tazza, ecco il perché del cucchiaio. 

Ad ogni modo, quella mattina non avevo nulla di appetitoso da offrirle. Era la prima mattina da quando venne e, purtroppo, come uno stupido, non comprai nulla che le potesse piacere a colazione. Così le feci l’elenco delle cose nella credenza. Nulla! Non le sembrava piacere niente. L’unica cosa per cui aveva gli occhi era la crostata di cioccolata rimasta. È la sua preferita, la adora. La prepara sua nonna, me la diede quando due settimane prima andai da lei. Ogni volta che andavo e capitavamo dalla nonna, mi faceva trovare pronto sempre qualcosa. Come se fossi uno dei nipoti. Mi piaceva da morire quella sensazione. Mi sentivo un po’ a disagio, ero un estraneo dopotutto, ma dentro morivo dal piacere. È bello esser trattati con dolcezza da persone che ti conoscono appena. Ma mi han voluto bene da subito. Così tornavo spesso a casa con delle leccornie datemi da loro. 

Era un pezzo piccolo, ci avevo fatto colazione diverse mattine e non ne rimaneva così tanto da bastare per due. Si trattava di una fetta troppo piccola, tuttavia poteva bastare ad uno dei due. Io non sono mai stato un amante della cioccolata, ero cambiato con lei. Mi aveva cambiato diverse abitudini alimentari, tra cui rientrava anche la cioccolata. Non dico che la adoro, ma mi ci ha fatto fare amicizia. Ha fatto da intermediario tra noi, come un consulente tra due coniugi in conflitto. L’esito è stato positivo, ci siamo piaciuti. Ma non ne mangio troppa comunque, questo è da dire. Così presi il vassoio e lo posai sul tavolo. La guardammo un po’ delusi. Speravamo entrambi di poterne prendere un pezzo ma il destino ci sembrava avverso. In quel momento sperai tanto che ci fosse altro da mettere in tavola ma casa mia è sempre piuttosto povera di dolci. 

Ho delle consuetudini strane, a volte mi sento un po’ fuori dal mondo, sapete?! Certo, non è che debba avere tutto, ma chissà perché trovo sempre che gli altri abbiano un occhio migliore del mio nel fare le compere. Come se sapessero a prescindere cosa ci debba essere a casa per forza. E se lo tengono anche per l’occasione. Prendiamo le scatole di cioccolatini ad esempio. Non ci credo che una persona compri una scatola di cioccolatini ogni settimana, eppure sono andato in diverse case dove non mancano mai. Sembrano aspettare gli ospiti. Non le persone, i cioccolatini. Io non sono per niente così, o per lo meno non mi ci sento. Quella mattina ne sentii tutto il peso. Che idiota a non avere altro! 

Passammo diversi secondi ad interrogarci come fare, era evidente che non bastava ad entrambi. Così mi alzai in piedi. Ebbi un’idea. Mi sembrò un’ottima idea. Andai verso il cassetto delle posate e presi un coltello: l’avremmo divisa a metà. Giusto. Era la soluzione più equa, dopotutto, non credete?! Così andai verso la crostata e zac, la tagliai a metà: “Quale pezzo preferisci?”. “È uguale!”. “Dai, scegli una delle due metà”. La delusione negli occhi era evidente, quella fetta così piccola impoverita ancor di più da quel taglio. Torturata dal coltello. Non bastava neanche agli occhi. Prese un pezzo e cominciò a fare colazione. 

È lì che iniziò ufficialmente la nostra colazione. Prima si trattava solo di preparativi. Così facemmo colazione entrambi con la metà di quel pezzo di crostata. Definirlo pezzo è un’iperbole. “Ti è bastata, vuoi altro?”. “No, no, sto a posto così!”. “Okay!”. Si alzò, mi diede un bacio ed andò in bagno.

E così, solo mesi dopo, mangiando nello stesso posto dov’ero seduto quella mattina, mi resi conto che Mia mi lasciò per quel pezzo di crostata al cioccolato che ama tanto.»

«Non ho mica capito io».

«Neanche io se devo essere sincero».

«Ti ha lasciato quella mattina?».

«No, lo sapete quando ci siamo lasciati».

«Ma allora che diavolo vuol dire tutta questa storia?».

«Diamine, non ci hai spiegato un bel niente».

«E poi tu non ci hai mai detto che vi lasciaste per un pezzo di crostata».

«Al cioccolato».

«Aaaah, maledizione! Non ci hai mai detto che vi lasciaste per un pezzo di crostata al CIOCCOLATO. Così va bene?»

«No, infatti, tu ci hai detto altro».

«Beh, eccovi la verità».

«Si, ma non ha senso».

«Mah! Io me ne vado, si è fatto tardi e domani lavoro».

«Si, anche io, meglio! Tanto qua non ho capito un accidente».

«Eppure è così chiaro».

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