Era stata una buona idea

di Paolo Casarini

– Pronto?

– Pronto cosa?

– No, dico, pronto?

– Eh, come? Aspetta. – Si udì dibattere in sottofondo. – Oh, sì, pronto, sono Cabelli!

– Bene, funziona.

Garzano riattaccò, soddisfatto. Riattraversò la porta che lo separava dal soggiorno, giunse davanti al manipolo di appassionati e si inchinò profondamente.

– Funziona! – esclamò non appena si fu rialzato. Dal gruppo si levarono grida entusiaste e molti si congratularono con lui.

– Incredibile, funziona! – gridò qualcuno.

– Mai avuto dubbi – rispose Garzano, sorridendo.

I membri del Circolo Ingegneri della Valle del Pelago si strinsero le mani scambiandosi elogi degni di una corte ottocentesca. Il ritratto di Leonardo da Vinci li osservava dalla cima dell’altarino che gli avevano eretto, e quasi pareva che Marco Garzano gli rassomigliasse, quel giorno.

– E così, eccolo qua – annunciò Tonio Ciampi teatralmente. Alzò sopra la testa una cornetta nera. – Il TELEFONO, così come lo inventò Marconi!

– Urrà!

– Questa storia del “pronto”, però, è da cambiare – protestò Elio Servini, generando una discussione appassionata tra i sette uomini.

Stavano ancora discutendo sulla giusta risposta da dare, quando una voce rotonda li interruppe.

– Se volete scusarmi, signori, la cena è pronta.

Marco Garzano si voltò verso il robot alle sue spalle. La struttura a scheletro gli aveva permesso di avvicinarsi senza essere sentito; il corpo metallico senza testa si esibì in un piccolo inchino.

– Ma certo, Caro, arriviamo subito – rispose l’uomo.

Si trasferirono nella spaziosa sala da pranzo e si sedettero attorno al tavolo già apparecchiato. Comparvero altri due robot che si curarono di servire gli antipasti.

– E questo è solo l’inizio – spiegò Garzano ai commensali, piegati in avanti in ascolto. – Non capite? Questo è solo un prototipo… dobbiamo costruirne molti altri ancora.

– Ognuno dovrebbe averne uno – convenne Remigio. – E dobbiamo migliorarlo.

– Certo, certo, di sicuro così non può andare bene a lungo – aggiunse Servini.

Tutti annuirono furiosamente a destra e a sinistra, senza dimenticarsi di svuotare i piatti che i robot gli poggiavano sotto gli occhi.

– Forza, Caro, porta altro cibo – chiamò Garzano, e lo scheletro metallico prontamente servì loro tagliatelle ai funghi ancora fumanti.

***

Come tutti i giovedì, Marco Garzano si diresse al Ministero delle Cose da fare, e come tutti i giovedì fece una lunga coda che gli fece perdere molto tempo; con fatica riuscì infine ad arrivare nell’ufficio dove un ometto barbuto scriveva assiduamente su un foglio.

– Buongiorno – salutò Garzano. – Sono del…

– Un attimo – lo interruppe l’altro, senza interrompere la scrittura.

Soltanto mezz’ora dopo appoggiò la penna e alzò lo sguardo.

– Il suo nome? – chiese.

– Marco Garzano.

– Marco Garzano, mi faccia ricordare…

– Sono del…

– No, no, non lo dica, la prego – lo fermò. Si portò la mano alla tempia. – Mi faccia pensare…

Garzano aspettò, spostando il peso da un piede all’altro in attesa. – Garzano, del… – tentò ancora, ma venne interrotto immediatamente.

– No, no, adesso ci penso, sì… della Banda del Picco, giusto? No, non mi dica se è giusto, mi sa che chiedo al collega se lui la riconosce come uno degli Scrittori del Fiume Magro, ma sì, magari vado anche a casa a chiedere a mia moglie. – Raggruppò i fogli sparsi sulla scrivania.

– Ingegneri del Pelago – concluse velocemente Garzano.

– Ingegneri del… – ripeté l’altro, storcendo il naso.

– Pelago.

– Ne è sicuro?

– Ehm, sì, sicuro – confermò Garzano.

– Sicuro sicuro?

– Sicuro.

– Forse dovrei dare una controllata. – L’uomo aprì un cassetto. – Sa, non si sa mai che…

– Sono sicuro – insisté l’altro. – Lei è nuovo?

– È un piacere conoscerla, signor Garzano. – Si alzò in piedi e allungò la mano destra. – Io sono l’Impiegato Bertucci, per il Ministero delle Cose da Fare, pronto ad aiutarla a perdere tempo.

– Piacere mio – disse lui, stringendo la presa. – Sono venuto a consegnare i registri del Circolo.

– Il Circolo! – Bertucci si illuminò. – Ah, fantastico! Il Circolo, bene! Mi dica, state facendo delle cose?

– Stiamo lavorando molto – rispose Marco Garzano. – Siamo riusciti a costruire un prototipo funzionante del telefono, sa? Il telefono, quello di Marconi.

L’espressione dell’impiegato divenne d’improvviso sospettosa. – Un secondo solo, no, no, non va bene.

– Cosa non va bene?

– Ha detto che siete riusciti? – disse Bertucci, scandendo le parole. – Intende dire che non avete più niente da fare?

– Oh, no, sicuramente no – si affrettò a dire Garzano. – C’è ancora molto da fare.

L’altro tirò un lunghissimo sospiro di sollievo. – Bene, bene, meno male. Che colpo che mi stavo per prendere!

Garzano forzò un sorriso. – Felice stia bene.

– Bene, bene, come dite? È ancora lunga?

– Credo ci vorrà molto tempo, sì – rispose l’ingegnere. – Da qui in avanti sarà sempre più difficile.

– Molto tempo, ha detto? Bene, bene… – fece l’impiegato.   – Quanto tempo?

– Non saprei. – Garzano scosse le spalle. – Diversi mesi, credo.

– Mesi? Ha detto mesi? – ripeté Bertucci. – Benissimo, benissimo, e mi raccomando soffermatevi sui dettagli e sulle piccolezze inutili! Anni, dico anni ci dovete mettere. Benissimo, benissimo, ottimo! Il vostro Circolo è sulla buona strada; il Ministero delle Cose da Fare vi dà la sua benedizione.

– Grazie – rispose Marco. – Posso andare, ora?

L’impiegato lo guardò storto. – Mi sembra che abbia molta fretta, lei. Le consiglio di perdere questo brutto vizio. – Sospirò. – Vada, vada, e aspetti un po’ prima di chiamare il prossimo. Anzi, no, non lo chiami affatto, che sono pieno di cose da fare. – Detto questo, afferrò la penna e ricominciò a scrivere.

Prima di uscire, Garzano sbirciò sul foglio dell’Impiegato Bertucci, e scorse una lunga colonna intitolata “Giovedì 14 Dicembre” che recitava, in scrittura ordinata: 11:15:16, 11:15:17, 11:15:18, 11:15:19…

***

Toc-toc.

– Pronto?

– Elena, sei tu?

– Sì, sì, entrate.

Garzano e Servini entrarono nell’abitazione trascinandosi dietro un ricco armamentario di antenne, valvole e scatole metalliche. Da dietro la signora comparvero due robot che li aiutarono con le cose più pesanti.

– Sono stata brava? – chiese la donna, impaziente. – Venite, venite, com’è andata?

– Non proprio – rispose Garzano. Allungò un pacchetto al Caro che lo sistemò con gli altri. – Devi rispondere “pronto” quando tiri su il telefono, non quando rispondi in generale.

Lei non sembrò convincersi. – Sarà – disse.

– Noi iniziamo, allora – continuò Garzano. – Lo mettiamo qui, giusto? – Indicò un punto del muro segnato da una croce nera.

– Sì, esatto – rispose la signora. – Non ci saranno problemi, no?

– No, no, l’abbiamo fatto decine di volte – la rassicurò Marco. – Presto potrai parlare con chi vorrai.

– Oh, ma che bellezza – fece Elena, estasiata. – Non dovrò nemmeno uscire di casa per parlare con le mie amiche?

– Esattamente – confermò Garzano.

– Che bellezza, che bellezza… posso offrirvi qualcosa? – Si voltò verso il robot che giaceva inerte dietro di lei. – Caro, portaci dei biscotti.

Il dispositivo fece dietrofront e andò in cucina. Sbucò poco dopo con un vassoio pieno di biscotti e tortelli dolci.

– Gentilissima, come sempre – ringraziò Garzano, e anche Servini si servì abbondantemente.

La signora attese che i due uomini terminassero il loro lavoro, poi li invitò a sedersi al tavolino in soggiorno. Accanto a loro riluceva la struttura metallica del robot, pronto a rispondere ad ogni loro richiesta. I suoi arti erano lunghi e sottili, ma traspariva solidità.

– Che carina questa cosa del telefono – convenne Elena. – Una cosa carina, sì, che vi è venuto di fare.

– Siamo molto contenti – spiegò Garzano. – Ma abbiamo molte altre cose su cui lavorare.

– Tutti le hanno – fece la donna. – Altre cose del genere, intendi?

– Altre cose del genere, sì. Dal telefono potremmo arrivare a tutto: macchine che si muovono per le strade, grandi aerei che sfrecciano nel cielo, connessioni ultraveloci in tutto il mondo!

– Oh, sembra molto interessante.

– Lo è! – esclamò Garzano.

– Pare una cosa che velocizzerà molto.

L’uomo esitò. – Beh, sì, immagino di sì – disse. – Non dovremo più camminare, o aspettare che un Caro ci porti da qualche parte.

– Ma i Cari sono così cari! – protestò Elena. L’anziana sorrise al robot che le stava accanto. – Non saprei come fare senza di loro.

– Certo, certo – concesse Garzano. – Ma potremo fare le cose che vogliamo, sempre più veloci.

– Sempre più veloci?

– Sempre più veloci!

– E poi?

L’uomo aggrottò la fronte. – E poi, cosa?

La donna sembrò a disagio. – Ma se faremo tutto così bene, poi cosa faremo per tutto il tempo? Voglio dire, avremo un sacco di tempo libero, no?

– Ehm, no, non so, perché…

– Una volta era tutto così – continuò Elena. – Lo sai, no?

– Sì, sì – annuì Garzano, ma la donna non aveva intenzione di interrompere il racconto.

– Un tempo la gente lavorava molto – disse. – C’era un gran da fare dappertutto, si lavorava e si faceva da mangiare e un sacco di cose da mattina a sera, e tutti erano stanchi e dicevano che avrebbero voluto far niente. Per velocizzarsi la vita costruirono tanti robot che potevano fare tutto quanto al posto loro, e così sono nati i nostri Cari, e alla fine i Cari facevano tutto e non c’era più niente da fare per la gente. Così le persone non sapevano più che fare, perché a qualsiasi cosa ci pensavano i Cari. – Il secondo robot comparve ad allungare una teiera fumante sul tavolino. – Furono proprio i Cari a proporci la soluzione. Suggerirono di fondare il Ministero delle Cose da Fare e tutti furono obbligati a entrare nei Circoli e a rispondere al Ministero e in poco tempo tutti ebbero ancora qualcosa da fare. È per questo che camminiamo per molte ore invece di spostarci in macchina, o mandiamo lettere e aspettiamo giorni in attesa della risposta… non capisci? Ora è tutto molto più bello, e nessuno si annoia più! Non capite com’è bello, e come sono cari questi Cari?

Garzano e Servini annuirono in silenzio. Entrambi conoscevano la storia, ma non volevano disturbare la signora. Questa stava per parlare ancora quando uno squillo li fece balzare sulla sedia.

– Oh, cos’è? – gridò la donna.

– Calma calma – rassicurò Garzano, indicando il muro – È solo il telefono.

– Ah.

Elena si alzò lentamente, emozionata di rispondere per la prima volta. Tirò su la cornetta.

– Pronto?

– Come?

– Sì, certo, glielo passo. – Si voltò. – Marco, è per te.

– Per me? – chiese questo.

La signora annuì, allungandogli la cornetta. Lui si avvicinò e la portò all’orecchio.

– Pronto?

– Parlo con Marco Garzano, del Circolo di… degli Ingegneri della Valle del Pelago?

– Sono io.

– Buongiorno, buongiorno, sono l’Impiegato Bertucci, si ricorda? Scusi per la chiamata ma dovevo fare una prova.

– Una prova? – fece Garzano, stupito.

– Sì, una prova, sì. Mi sembra di capire che il telefono sia funzionante.

– Ehm, esatto – confermò l’ingegnere. – Ne abbiamo già piazzati…

– Bene, bene, come immaginavo. La informo che dovrà smantellare tutto e dimenticare come ha fatto a costruirlo; tutto chiaro? Se preferisce, può passare nel mio ufficio e le ripeterò le stesse cose… anzi, sì, venga pure, così non la faccio entrare e torna il giorno dopo.

– Cosa? – esclamò Marco. – Smantellare tutto, ma perché?

– Perché, perché… sono le regole del Ministero delle Cose da Fare – rispose Bertucci. – Come saprà sono previste gravi sanzioni per chi finisce le cose da fare.

– Vuol dire che…

– Non voglio dire nulla, Garzano, queste sono le regole. Se è interessato ci sono lunghi libri che non dicono niente ma ogni tanto qualcosa dicono: là c’è scritto tutto. Smantelli e dimentichi, poi ricominci da capo. Lo faccia due o tre volte per essere sicuro.

– Ma…

– Arrivederci e buona serata.

Marco Garzano riattaccò.

***

Seduto sotto il portico, Marco Garzano lasciava passare il tempo. Chiuse gli occhi a godersi il fresco della primavera; quando li riaprì, davanti a lui stava l’Impiegato Bertucci con quattro robot al seguito.

– Buongiorno – salutò Garzano, sorpreso.

– Sì, sì, buongiorno – fece Bertucci. Accanto ai Cari sembrava più basso. – Sono qui per confermarle che è in arresto.

Marco si alzò con un balzo. – Cosa?

– In arresto, ha sentito bene – ripeté l’altro. – Se vuole, può fuggire, così ci metteremo un po’ a trovarla e farà un piacere a tutti, tanti i Cari qui la troveranno di certo, non si preoccupi. Allora che fa, non scappa?

– Io… io, no, non capisco – balbettò l’uomo.

– Lei vuole davvero mettersi nei guai – lo minacciò Bertucci, puntandogli il dito. – Per quelli come lei servono le maniere forti. Opponga un po’ di resistenza, almeno, quando questi la prendono, così potremo fare un po’ di scena e passarci il pomeriggio.

– Un secondo, un secondo! – esclamò Garzano. Il suo movimento fece tendere i tendini metallici dei robot, che però non si avvicinarono. – Posso sapere di cosa sono accusato?

– Oh, bene, sì, certo – rispose Bertucci, estraendo un foglietto dalla tasca. – Lei è accusato di Risparmio del Tempo, Velocizzazione delle Comunicazioni, Indisponibilità nel Dimenticare e Fiducia nel Progresso. – Mise via l’appunto. – Fossi in lei scapperei, per alleviare la pena.

Garzano non credeva alle sue orecchie. – Ma questa è follia!

– Questa è la Legge, figliolo, e non può ignorarla – spiegò l’impiegato. – Senza questa Legge, e senza il Ministero delle Cose da Fare, il nostro mondo sarebbe nel caos e ci annoieremmo a morte.

– Non ha senso! Potremmo fare…

– Senta, senta, può fare quello che vuole ma non metta in dubbio la mia competenza – lo interruppe Bertucci. – Se posso darle un consiglio, distrugga il telefono e lo dimentichi. Dopo potrà ricominciare a Perdere Tempo nei suoi Circoli preferiti.

– Non c’è dubbio! – annunciò Garzano. – Non ho intenzione di tornare indietro! Non capisce? Il telefono servirà a semplificarci la vita.

– A semplificarci? – ripeté l’altro. – Tutt’altro! – esclamò. – Ci farà solo Risparmiare Tempo!

– E allora?

– E allora?! Ma come si permette! Invece di Risparmiare Tempo, voglio dire, perché non inventate qualcosa che ne faccia perdere? Che so, un telefono che in realtà non funziona, o magari un gioco che non finisce mai o una macchina chiusa che fa avanti indietro e non ti porta da nessuna parte, che so, non mi sembra di chiedere molto!

Marco Garzano non sapeva cosa rispondere. – Non le sembra un po’ inutile?

L’Impiegato Bertucci sembrò sull’orlo di una crisi. – Lei non si rende conto di ciò che sta facendo. Il Ministero delle Cose da Fare ha lottato per estirpare la noia, e per cosa? Per essere insultato dal primo montanaro che si mette a fare l’inventore?

L’Ingegnere della Valle del Pelago incrociò le braccia e si rifiutò di accettare le richieste dell’Impiegato Bertucci.

– L’hai voluto, allora – fece questo. I Cari dietro di lui si mossero in avanti e accerchiarono Garzano. – Adesso è accusato anche di Mancata Fuga e di Migliorata Efficienza del Servizio Pubblico. Questo non l’aiuterà in prigione.

– In prigione? – ebbe modo di dire Garzano prima che i robot lo trascinassero via.

Per la prima volta nella sua vita, Marco Garzano venne fatto salire su un aereo, e i Cari sfrecciarono nell’aria diretti alla prigione.

***

Non sembrava poi tanto male. In prigione aveva cibo in abbondanza, lo trattavano bene e gli avevano dato un appartamentino personale che non aveva nulla da invidiare alla sua casa di Roccapelago. Marco Garzano si era sistemato da qualche giorno e si era tenuto impegnato risistemando la sua nuova casa. Era più spaziosa della precedente e non era abituato a camminare così a lungo per andare al bagno.

Un giorno di quelli, dopo aver pranzato assieme agli altri galeotti, si fermò a parlare con uno di loro.

– Non si sta affatto male, qui – gli disse Marco, ma l’altro lo guardò esterrefatto.

– Accidenti a te, pazzoide! – esclamò. – Darei una delle mie gambe per uscire da questo inferno!

Garzano esitò. – È tutto così comodo! Non c’è niente che non possiamo fare!

– No, infatti. – L’altro scosse la testa. – Capirai presto.

Marco scrollò le spalle e un’altra settimana passò tranquilla. Un pomeriggio, dopo aver terminato di sistemare alcuni quadri che gli arrivavano da casa, scese nella sala comune e si avvicinò a uno dei Cari che potevano parlare.

– Buongiorno, Caro.

– Buongiorno, signor Garzano – rispose la voce robotica. – Posso aiutarla?

– Sì, in realtà – fece Marco. – Volevo sapere se, beh, ci fosse modo di avere un programma delle attività della struttura.

Il Caro rispose immediatamente: – Nessuna attività prevista.

– O qualche lavoretto, che so, in cucina? – ritentò l’uomo.

– Tutti i lavori sono svolti dai Cari.

– Mh, sì, allora qualche Circolo a cui iscriversi?

– In tutte le prigioni è severamente vietato condurre Circoli – lo gelò il robot.

Garzano aggrottò la fronte. – E allora cosa ci si aspetta che noi facciamo tutto il giorno?

– Niente, assolutamente niente – rispose il Caro. – Questa è la pena prevista per chi ha osato Risparmiare Tempo.

Da quel giorno, la vita di Marco Garzano diventò un incubo. Le lunghe ore passate con gli Ingegneri della Valle del Pelago si trasformarono in noiose giornate di nullafacenza, circondato da robot che facevano tutto al posto suo. L’uomo si trascinava di stanza in stanza tentando di pulire, di cucinare o di lavorare, ma i Cari lo spingevano gentilmente indietro, ringraziando e informandolo che ci avrebbero pensato loro a fare quello che gli uomini non volevano fare più.

E così passarono mesi e mesi, e Marco Garzano impazzì e decise di togliersi la vita.

– Se non posso fare niente, perché dovrei stare qui? – si diceva. – Se tutto quello che potrei fare viene già fatto da quei maledettissimi robot, che senso ha? Cosa dovrei aspettarmi da tutto questo?

E stava quasi per farcela, aiutato da un frammento del lavandino di ceramica che aveva distrutto, quando un robot comparve all’improvviso a bloccargli la mano.

– Cosa vuoi da me, maledetto?! – gli gridò contro Garzano. – Non posso neanche uccidermi, adesso?

– Esattamente, signor Garzano – rispose cordialmente il Caro. – La vita umana è il bene più prezioso, e non possiamo permetterle di togliersela. Questa è la Legge. Questo atto le costerà qualche anno nei corsi di Amore per la Vita.

Marco respirò affannosamente e lasciò cadere il frammento tagliente.

– Legge? E di che Legge si tratta?

– Ma del secondo Ministero che i Carissimi hanno fondato per voi, su vostra richiesta e solo per vostro godimento – rispose il robot. – Il Ministero del Bello di Vivere.

Garzano sospirò, e continuò a far niente per molti giorni.

***

Quando tornò dagli Ingegneri della Valle del Pelago, tutti si dimenticarono come si costruiva un telefono. Si ritrovarono un giorno a pranzo e ripensarono a ciò che non sapevano più.

– Eppure – parlò uno. – Sembrava una così buona idea.

– Sì – disse Marco Garzano. – Era stata una buona idea. Prima che l’uomo scoprisse tutto, e che i Cari non gli lasciassero più niente da fare, sì; al tempo era stata una buona idea.

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