La maledizione del fuoco

di Marco Viotti

  • L’uomo che parlava alla natura

Il sole, vigoroso, aveva da poco cominciato il suo viaggio a levante, illuminando le fronde rigogliose della natura estiva.

E mentre gli echi della foresta cantavano il nuovo giorno, vi era già chi, con fare assonnato, si muoveva alla ricerca di cibo.

Un uomo.

Vestito di pochi peli raminghi, non si muoveva con casualità: la sua meta era infatti un arbusto di piccola taglia nel mezzo della radura verdeggiante, o per la precisione i dolcissimi frutti che lo stesso produceva.

Ma arrivato in vista dell’obiettivo, lo stesso si accorse di non essere l’unico ad aver adocchiato l’arbusto.

Difatti, un grosso bue, goloso delle succulente foglie della pianta, si trovava a pochi passi da essa.

Per l’animale un gruppo di uomini affamati sarebbe stato senza dubbio un pericolo, ma quell’esserino non proprio curvo, ma neanche completamente eretto, non rappresentava una minaccia.

D’altro canto, nonostante l’evidente differenza di stazza, l’uomo non avrebbe mai accettato di abbandonare il campo!

Non mangiava da giorni e sollecitato dai continui crampi allo stomaco iniziò ad emettere urli e suoni gutturali, ricevendo in cambio muggiti e latrati finché una cacofonia di suoni disarmonici si diffuse per la radura.

Si produsse così uno stallo, mentre le nubi si affacciavano all’orizzonte.

Prima poche e solitarie, poi sempre di più, finché il cielo divenne scuro e la pioggia iniziò a battere il terreno.

  • L’incontro col dio

Con l’arrivo della pioggia in cielo si moltiplicarono le saette e l’aria fu scossa dal sussulto dei tuoni che intaccarono la fermezza del bue, finché quest’ultimo si allontanò alla ricerca di una zona meno esposta della foresta.

L’uomo, inaspettatamente, era rimasto padrone del campo.

Un moto primordiale di gioia investì allora il vincitore che si diresse lesto verso l’albero mentre la pioggia continuava senza sosta.

Le bacche erano lì, a portata di palmo, non rimaneva che prenderle. Eppure quando la mano dell’uomo era prossima a congiungersi alla pianta una saetta, terrificante e maestosa, come una freccia scagliata dal cielo, si abbatte sull’arbusto tramutandolo in cenere e scagliando via l’uomo che perse i sensi.

Quando lo sfortunato primate si risvegliò il temporale era cessato, ma il suo pasto si era trasformato in una pira infuocata.

Una stella, a fare da contrasto alla penombra dell’ambiente circostante, i cui riflessi gialli e rossi incantarono l’uomo che, incurante del calore, si avvicinò fino a scorgere qualcosa.

Una figura dai contorni sfumati, vestita di luce, o forse solo un miraggio, che comunque catturò lo sguardo del primate, seducendolo.

La scena rimase immobile per alcuni attimi prima che la figura nel fuoco, con un esile braccio fatto di luce porgesse all’uomo un rametto incendiato.

Questi lo prese con gioia, ma la frustrazione lo investì quando, di lì a poco, il rametto si spense, cosicché la figura nel fuoco, in una lingua che l’uomo non conosceva ma in qualche modo comprendeva, disse:

“Se lo desideri, ti darò tutti i rametti che vorrai, quando vorrai.”

L’uomo in risposta iniziò a urlare ed a battere i pugni sul terreno.

“Però tu dovrai darmi qualcosa in cambio.”

Le urla ed i movimenti cessarono.

“Parlo della tua natura, di tutto ciò che sai e sei, per un nuovo inizio.”

Un attimo di esitazione.

Poi senza più rumori o versi, ma con un solo cenno del campo, l’uomo accettò.

  • L’uomo che parlava un’altra lingua

Il sole, vigoroso, aveva da poco cominciato il suo viaggio a levante, illuminando le fronde rigogliose della natura estiva.

Il ricordo della tempesta si era perso nelle pieghe del tempo e mentre gli echi della foresta cantavano il nuovo giorno, vi era già chi, con fare assonnato, si muoveva alla ricerca di cibo.

Un uomo.

Vestito non più solo di pochi peli raminghi, non si muoveva con casualità: la sua meta era infatti un arbusto di piccola taglia nel mezzo della radura verdeggiante, o per la precisione i dolcissimi frutti che lo stesso produceva.

Ma arrivato in vista dell’obiettivo, lo stesso si accorse di non essere l’unico ad aver adocchiato l’arbusto.

Difatti, un grosso bue, goloso delle succulente foglie della pianta, si trovava a pochi passi da essa.

L’animale parve da subito intimorito alla vista di quell’essere che seppur eretto non presentava né artigli né zanne, nonostante ciò attingendo a tutto il suo coraggio rimase fermo.

D’altro canto, nonostante l’evidente differenza di stazza, l’uomo non avrebbe mai accettato di abbandonare il campo! Quindi prendendo un paio di rametti in mano, li attizzo con una pietra ed iniziò a sventolare l’improvvisata torcia in direzione del bue, che spaventato si allontanò subito lasciando l’uomo padrone del campo.

Sconfitto il pretendente, seppur già sazio di un precedente pasto, l’uomo poté quindi avvicinarsi all’arbusto per prendere una sola bacca che addentò senza convinzione mentre volgeva lo sguardo al cielo.

“Un temporale si avvicina, conviene rientrare a casa.”

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