Riiiing!

di Marco Viotti

Capitolo 1

14.07. L’ora segnata sul cruscotto. Al volante dell’auto, da circa un’ora, un misto di ansia e frenesia: un uomo a caccia ed in fuga dalla medesima cosa.

Era chiaro che l’incubo nel quale era piombato Giambattista avrebbe richiesto un rimedio drastico. Drastico come la puntualità con la quale, ogni giorno, il suo carnefice si presentava.

  • Non molto tempo prima

Sembrerà banale sottolinearlo, ma fino a non molto tempo prima tutto era diverso. Sì, decisamente banale… eppure il protagonista di questa storia per anni si era dimostrato un impiegato di prim’ordine, tra i pochi capaci di fare carriera in Comune.

Un uomo dedito interamente al lavoro, al fare, all’organizzare, e che in poco meno di 15 anni era passato dall’essere uno dei tanti subalterni senza nome a ricoprire i più prestigiosi incarichi, quanto meno fino a che il telefono, quel giorno, squillò.

  • Sconforto

“La sua condizione pare essere sintomatica di quello che viene comunemente definito: disturbo da stress lavoro-correlato.

Gli importanti carichi di lavoro che mi ha descritto possono aver favorito l’insorgere del fenomeno”

‘Dottore: Si può fare qualcosa? Come posso fare per guarire?’ La mente di Gianbattista era convinta, il suo corpo molto meno. Alla fine, lo stomaco in contorsione gli permise di esprimere solo un sofferto “…si può… guarire?”

“Ritengo che vi siano buone probabilità di risoluzione positiva della questione”

  • La questione

La prima volta che il telefono squillò il miglior impiegato del Comune per tre anni di fila non vi fece caso. D’altronde in quell’open space popolato da un mezzo centinaio di api operaie, suonavano telefoni in continuazione.

Non vi fece caso nemmeno la seconda e la terza volta, ma la quarta fu un disastro.

Nella piccola meeting room delimitata da spessi vetri insonorizzati poteva dirsi concentrata la crème de la crème cittadina. Vertici comunali e investitori erano riuniti, in rigoroso silenzio, ad ascoltare Giambattista quando quest’ultimo venne sorpreso dal primo squillo.

‘Un telefono? Chi è così stupido da non averlo silenziato?’

Secondo squillo, terzo squillo e nessuno tra i presenti che accennava un movimento, un’esitazione.

Quarto squillo. “Ehm, scusate: i telefoni se possibile, manteniamoli silenziosi”

D’un tratto il gelo. Vertici comunali e investitori iniziarono a guardarsi stupiti e visibilmente imbarazzati finché uno tra questi ultimi, preso coraggio chiese “A quale telefono si riferisce?”

Era chiaro come nessuno tra i presenti avesse udito nulla.

  • Le conseguenze della questione

In qualche modo Gianbattista riuscì a salvare il meeting, ma perse qualcosa di assai più prezioso.

Quel giorno nella sua psiche collassò la certezza che tutto sarebbe andato per il meglio.

Capitolo 2

15.52. Con il rarefarsi dell’asfalto, la strada iniziò a mostrarsi nella sua forma più grezza: una scacchiera disarmonica di ghiaia, fango ed erbacce.

Ottimo segno! Ancora qualche chilometro per raggiungere il cuore della foresta e poi finalmente lo zenit del suo piano. Da solo. Lui.

  • Compagnia

La compagnia a dirla tutta non era mai stata una priorità per il protagonista di questa storia, il lavoro sì! Proprio quel lavoro che nel tempo era diventato un rifugio capace di accoglierlo e di soffocare tutte le sue paure, le sue ansie e i suoi malumori.

“Il lavoro ti sta logorando Gian, non ti conviene lasciare qualche incarico?”

Quella sera il pub in cui Gianbattista soleva vedersi di tanto in tanto con i colleghi non era il massimo. A dirla tutta non era il massimo già da tempo, ma la forza dell’abitudine pareva agire meglio di una luce al neon.

  • Soluzioni

“Vuoi scherzare?! Sono a tanto così dal farmi notare in regione! Non posso mollare tutto per un po’ di stress “

“Ho capito Gian, ma se…”

“E poi ho fatto tutte le visite di rito, il mio cervello è sano come un pesce!”

Allo scambio di battute allora si aggiunse Luca “Vi ricordate di Beppe?”

“Beppe chi?”

“Dai, quello dell’anagrafe!” silenzio “Dai! Quello delle testate alla macchina del caffè!”

Tutti di colpo riacquisirono la memoria e ricordarono quell’uomo dall’aria anonima che un giorno, di punto in bianco, aveva perso la testa iniziando a dare testate alla macchinetta del caffè. Solo l’intervento di due agenti aveva permesso di placarlo e di portarlo in ospedale.

“E quindi?!” tutta l’attenzione della tavolata si era concentrata su Luca, che si domandò perché non fosse rimasto zitto “Beh, ho sentito che grazie a delle pillole si è ripreso”

“Psicofarmaci?”

“E cosa ne so!”

‘E perché no?’ Era lo spunto che Gianbattista aspettava! ‘perché no!’ Una pillola al giorno leva il medico di torno, giusto? O forse era una mela? Poco importava, poiché sembrava una soluzione!

Capitolo 3

16.35. Venticinque minuti agli squilli. Con la macchina parcheggiata a bordo strada, a Gianbattista non rimaneva che ‘perdersi’, nel folto della vegetazione. Senza smartphone, GPS o qualsiasi altro dispositivo riconducibile ad un telefono.

Il piano era semplice ed al contempo geniale! Allontanarsi abbastanza da qualsiasi telefono da piegare all’evidenza il suo subconscio o qualsiasi cosa facesse ‘squillare’, nella sua mente, il telefono.

  • Rispettare il piano

Nonostante le perplessità dei più alla fine l’uomo la spuntò, iniziando la terapia a base di psicofarmaci.

Il medico era stato lapidario “Se vuoi che la terapia sia efficace, devi attenerti scrupolosamente alle seguenti indicazioni”.

Da quel momento l’uomo avrebbe dovuto evitare qualsiasi alcolico e, cosa più importante, abbassare in modo significativo i ritmi di lavoro. Una cosa più facile a dirsi che a farsi, eppure i risultati ripagarono ampiamente tutti gli sforzi fatti!

Il terzo giorno dall’inizio della terapia gli squilli cessarono!

Erano da poco passate le cinque del pomeriggio quando la contentezza lo sorprese e calde lacrime di gioia iniziarono a solcare incontrollate le sue guance. C’era riuscito! Aveva sconfitto il suo nemico, e forse anche superato sé stesso! Quanto meno così pensò, mentre si riprometteva di non farsi più fermare da nulla e nessuno!

Le settimane successive furono idilliache, nessuno squillo, con lo stesso Gianbattista che iniziò a dimenticarsi di quella brutta avventura, relegandola nell’antro dei ‘brutti sogni’.

Stava meglio, anzi! Stava bene ed anche i piccoli effetti collaterali dovuti all’assunzione dei farmaci parevano appendici insignificanti.

  • L’importanza delle appendici

“…la nuova proposta non solo snellirà l’apparato burocratico, ma garantirà un risparmio stimato del…” una rapida occhiata alla brochure e di nuovo in pista “scusate, dicevo un risparmio stimato tra il 6 ed il 7 per cento…”

Tornare alla propria passione, dopo uno stop forzato, è una sensazione che non si può raccontare, ma solo vivere. È quel vulcano, di cui ignoravi l’esistenza, che di colpo erutta e ti spinge a fare sempre di più!

Lo stesso accadde a Gianbattista, che si rigettò progressivamente sul lavoro, nella sua passione, nella sua zona sicura. Rimanevano, o per meglio dire si manifestavano occasionalmente, solo piccoli inconvenienti, quali piccole perdite di memoria, difficoltà nel mantenere l’attenzione o sonnolenza.

‘Che diamine! Nel culmine del discorso come ho fatto a dimenticarmi la percentuale di risparmio? L’avrò letta sì e no venti volte!’

Nelle prime settimane quei piccoli deficit non erano pesati all’uomo, ancora spaventato da un possibile ritorno degli squilli, ma con il passare delle settimane ed il dissiparsi della tensione, l’ostilità verso essi era cresciuta esponenzialmente.

‘Questi problemi dipendono senza dubbio dagli psicofarmaci! Che poi: a ripensarci, mi sono fatto una malattia per quattro squilli immaginari!’

Interrompere la cura gli parve una strada percorribile, quasi facile. Si sarebbe rivelato in realtà un grave errore.

  • Icaro

Il sole, alto nel cielo, dipingeva i contorni di una nuova, tremenda, giornata per Gianbattista.

Se smettere di assumere psicofarmaci era stato un errore, ricominciare in modo sregolato per disperazione era stato anche peggio. Un baratro apparentemente senza fine capace di generare uno stato di totale inquietudine per quei quattro squilli frutto della sua fantasia.

‘Non ce la faccio più!’

Serviva una nuova soluzione e serviva subito! Qualsiasi cosa, Giambattista sarebbe stato disposto a pagare oro anche per un solo briciolo di calma. Un piano, un abbozzo di piano o anche solo un’idea folle da seguire ciecamente.

‘Devo andarmene, ma dove?

Lontano! Si, ma lontano dove? Dove? Pensa, pensa!

Non devo farmi trovare! Non farmi trovare dal telefono…’

Erano da poco passate le 13.

Capitolo 4

16.59. L’orologio da polso, rigorosamente analogico, era chiaro: un minuto alle cinque. A dirla tutta meno perché i secondi non erano rimasti ad aspettare i riflessi affannati di Giambattista.

Un ultimo giro di lancette, o per meglio dire di lancetta. Appena un attimo e le 17.00 erano arrivate e con esse il primo squillo.

RIIIING

“No, no, no! Anche qua no!”

RIIIING

“Lasciami in pace! Mostro!” Urla al cielo, urla contro il cielo.

RIIIING

“Basta! Basta! Squilla ancora uno squillo e poi lasciami in pace!”

RIIIING

RIIIING

RIIIING

Panico.

La scarica di adrenalina si profuse all’istante nel corpo dell’uomo. Lo shock per il quinto squillo era durato un secondo, spazzato via dal terrore dovuto agli squilli successivi. Non era mai accaduto che vi fossero più di quattro squilli.

Di lì la corsa a perdifiato tra gli alberi, senza una meta o un fine, ma con una chiara costante: gli squilli incessanti nella sua mente, anche quando a seguito di un passo falso l’uomo inciampò crollando a terra.

“No, no, non è possibile!”

Il terrore stava mutando in disperazione facendo sgorgare incontrollate le lacrime ora che anche la morte iniziava a farsi un’opzione appetibile.

Un finale scontato se non fosse stato per la rabbia, esplosa di colpo una volta esaurite tutte le risorse. Esplosa verso quegli squilli, verso quel telefono. Sufficiente per far rialzare Giambattista e permettergli muoversi in direzione di quei suoni.

RIIIING

Il suono sembrava farsi più nitido.

RIIIING

Sempre più forte, finché qualcosa attrasse lo sguardo dell’uomo. Un ceppo al centro di una piccola radura e sopra di esso, rosso nella sua scocca, un telefono!

Un vecchio modello, Giambattista si domandò dove lo avesse già visto mentre gli si avvicinava intontito, poi: tutto accadde.

Troppi ricordi iniziarono a bussare alla porta del suo conscio, la frenesia, il fiatone, gli squilli, la foresta tutt’intorno a lui, lui, quell’improbabile telefono sul ceppo e la sua mano tremolante nel prendere la cornetta ed poggiarla all’orecchio.

Dall’altra parte una presenza antica, sepolta, dimenticata, ma ineluttabilmente presente ed un sussurro: “Ricordati che esisti”

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