Drømme enheden

di Antonio Blunda

Tantissimo tempo fa, nell’ormai oscura notte dei secoli trascorsi, vi fu un breve regno in Danimarca, in cui imperò re Lasse Løgner I, il ”re scontento”.

Questi, cresciuto nel più grande e inimmaginabile benessere, sembrava non contentarsi mai di ciò che avesse ottenuto nella sua lunga vita. Denari, preziosi, donne, terre, nulla bastava.

Presso la sua corte, a quel tempo viveva un certo Tristan Van Djævel, mago, giullare e alchimista.

Si dice che un giorno, re Lasse, ormai vecchio, avesse ordinato a Tristan di costruire per lui una sorta di macchina, qualcosa che fosse in grado di soddisfare ogni suo desiderio o sogno recondito.

Tristan, a tale richiesta, non apparve per niente sorpreso o dubbioso. Questi si mise dunque all’opera, e per tale incarico, ebbe carta bianca su qualsiasi strumento o materiale gli fosse necessario per realizzare quanto richiesto dal re.

Era trascorso appena un inverno, e Tristan, fiero del suo risultato, raggiunse il re e gli disse che aveva terminato il compito che questi gli aveva richiesto: egli, disse, aveva creato ”Drømmeenheden”.

”Drømme enheden” (la macchina dei sogni), si presentava come un misterioso e complesso marchingegno, fatto d’uno spesso legno di castagno dalle modeste dimensioni, non più grande nella sua lunghezza che la metà d’un braccio, del colore dell’oro acceso o dell’ocra scuro, e ciò a seconda del peculiare momento – spiegò Tristan – che questa si trovasse o meno nel pieno della sua funzione, e tal cosa avveniva con tre semplici atti da compiere in necessaria sequenza temporale: per primo, pensare intensamente a ciò che si voleva vedere o ottenere, secondo, una moneta andava introdotta in un’apposita fessura laterale della macchina, da ultimo, occorrevano sette giri completi d’una manovella in bronzo, una sorta di leva ch’era posta sul fianco destro del congegno, la quale, una volta inserita, azionava manualmente il meccanismo nel senso orario e rotatorio, e ne dava così il secondo e definitivo innesco. A fronte della macchina, una sorta di sipario da teatro infantile.

Ditemi, Tristan…come funziona, esattamente?

Vostra Maestà, è davvero molto semplice: non dovete far altro che pensare a quel che più chiedete per vostra brama o ricordo, in secondo luogo dovete introdurre una sola moneta. Poi al resto penserò io stesso.

E cosa potrei vedere, o volere?

Qualsiasi cosa, Maestà. Qualsiasi cosa.

Lasse Løgner dunque si alzò dal trono, prese, come richiesto, una moneta da un piccolo forziere, pensò a quel che voleva, e la inserì nel taglio della fessura.

La moneta precipitò all’interno della macchina, senza alcun percepibile rumore, e come inghiottita in un’interminabile profondità; dopo numerosi secondi, risuonò un lungo suono metallico. Tristan ruotò per sette volte la manovella in bronzo. Il sipario pian piano si aprì.

Ecco che Lasse vi intravide una donna bellissima, dai capelli scuri, dagli abiti luccicanti e preziosi, e di nobile parvenza, e di ciò ne rimase esterrefatto.

Se posso permettermi…cosa avete chiesto, Maestà?

Vedere dove si trovasse la donna più bella che esiste al mondo, perché io potessi farla prendere dai miei soldati e portarla qui.

Løgner, nella sua infinita scontentezza, continuò a chiedere, nei successivi giorni, tutto quel che gli veniva in mente, e chiamò innumerevoli volte, persino nel cuore della notte, Tristan, perchè questi azionasse la sua macchina, poichè solo in sua presenza questa riusciva a funzionare.

Dopo quella prima iniziale moneta, ne inserì venti per veder la vittoria d’una guerra lontana, e poi cinquanta per avere un cavallo rarissimo, e settanta monete per una miniera d’oro, ed altre settanta per governare un’intera nazione in un secondo, senza alcuno spargimento di sangue, e poi nel cuore della notte ben altro ancora, ed ancora, e tutto quel che voleva e poteva ottenere, così fino al mattino.

Alle prime luci dell’alba, Lasse era ormai stanco, e tuttavia ancora visibilmente scontento.

Maestà, c’è soltanto una cosa che ancora non mi avete chiesto. Volete che vi renda l’uomo più felice al mondo?

Sì Tristan, certamente… fai in modo che io sia felice!

Allora, chiudete gli occhi, e lasciatemi fare il mio compito. Vi renderò assolutamente felice.

E così fecero.

Lasse inserì, come gli era stato richiesto, ben più di duecento monete, e chiuse gli occhi.

Durò un tempo infinito. Occorse del tempo, finchè tutte le monete giungessero dov’è che esse misteriosamente andavano a finire.

Tristan mulinò per sette volte la piccola manovella in bronzo, e quel piccolo sipario di tela rossa, da sapore di teatro infantile, all’improvviso, lentamente, si aprì.

Ed ecco, come promesso, realizzarsi l’ultimo vero desiderio di Lasse Løgner.

Questi era all’improvviso scomparso dalle sue stanze, e si era ritrovato proprio dentro Drømme enheden, e lì vi appariva minuscolo, e ritornato bambino, con quella visibile spensieratezza e felicità dell’infanzia perduta, a cavalcioni di quel primo destriero in legno, intento a correre senza fiato nel mezzo di una notte calma di stelle e grigie nuvole passeggere.

Era così scomparso dal mondo il vecchio re scontento, e questi viveva adesso, per sempre e senza possibilità alcuna di tornare indietro – non si sa se ciò fosse per lui una benedizione o una perpetua condanna – in una sorta di trappola eterna, all’interno di Drømme enheden.

Al sorgere del sole, Tristan Van Djævel il mago alchimista, divenuto ricchissimo, richiuse così la sua macchina, e andò via dal regno.

Ma prima che fosse giunto di nuovo il tramonto, distrusse Drømme enheden e il suo misterioso progetto, perchè nessuno potesse mai più riprodurla.

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