De Gustibus

di Massimo Croce

Un’indagine del detective Amaro

Seconda puntata

Un racconto per chi adora il noir.

Un racconto per chi cerca la suspense.

Un racconto per chi ama Genova.

In una Genova piovosa, dove i gusti hanno corpo e mente, il detective Amaro indaga sulla morte del suo vecchio amico Salato, che s’è sciolto in circostanze misteriose in una tazza di cappuccino. Dopo una chiacchierata con Dolce, la vedova di Salato, Amaro scopre che il suo amico era coinvolto con la socia Acida in un losco traffico di umami: questa si rivela però una falsa pista.

Cammino sotto i piloni della sopraelevata, per ripararmi dalla pioggia. Le auto sfrecciano al mio fianco; calpesto polvere, spazzatura, a volte un topo.

All’improvviso vengo abbagliato dai fanali di un hamburger.

«Amaro!» mi chiama il guidatore «Salga su, dobbiamo parlare.»

Lo riconosco: è il commissario Insipido, della Polizia del Sapore.

L’hamburger è biposto: salgo, e mi siedo sul soffice pane di fianco al commissario.

So cosa state pensando: è strano che il commissario Insipido guidi un hamburger. Ma questo non è un hamburger normale: tra i pomodori e l’insalata non c’è carne, bensí un’insulsa fetta di tofu, larga due metri per due.

L’hamburger si mette in moto.

«Cos’è questo?» chiedo, indicando il panino.

«Street food.» fa il commissario, e alza le spalle.

Prendiamo strade tortuose.

«So quel che sta facendo.» comincia lui.

«Davvero?» rispondo «Neppure io a volte so quello che faccio.»

«Lei sta indagando per i fatti suoi sulla morte di Salato.» continua «Perché non collabora con me?»

«Glielo dirò molto francamente, commissario: lei non è fatto per questo lavoro. Per lei tutti i gusti sono identici.»

«Sono insipido perché applico la Légge. Davanti alla Légge siamo tutti uguali.»

«La Légge dovrebbe essere adatta a ogni gusto.»

«Il suo amico Salato era un poco di buono. In grosse quantità faceva male.»

«Questo non è vero!» esclamo, e do un pugno sul pane.

Perdiamo un cetriolino per strada.

«Lei e i suoi amici conducete vite troppo estreme.» continua Insipido «Condite troppo ogni cosa. Se foste più delicati scoprireste che esistono molti altri gusti, che voi mettete in ombra col vostro protagonismo.»

«Sono la personificazione di una qualità, non posso alterare la mia natura. Se vuole migliorarci, cambi la cucina italiana. E adesso mi faccia scendere, ho un appuntamento. Le telefonerò, se scopro qualcosa di importante.»

Il commissario si ferma davanti a una fermata del filobus. Salto giù, alzo il bavero e mi allontano.

L’hamburger se ne va rombando. Passo davanti a un’edicola e leggo il titolo:

DURO EX-GALEOTTO CON HUMOUR NERO

SOFFOCA MAJALE FASCISTA NEL SUO STESSO SANGUE

Gli ha fatto assaggiare la sua ironia, mi dico, e sorrido. È la prima volta, quest’oggi.

* * *

Piccante è l’unica persona che riesce ad incendiarmi. Facciamo l’amore di tanto in tanto, ma non siamo una coppia: lei è piuttosto un’amica, l’unica amica che ho. Conduciamo vite separate: l’amaro e il piccante non stanno bene insieme, e possono solo incontrarsi qualche volta. Non potremmo formare una famiglia, né avere dei bambini: l’unico alimento amaro e piccante al contempo è l’olio d’oliva calabrese, e non voglio diventare il padre di un barilotto.

Piccante è di origine medio-orientale e vive su un döner kebab.

Oggi è stata lei a chiamarmi. Per fortuna. Mi ha salvato da un’altra serata che avrei trascorso in una bottiglia di amaro.1

È appagante rotolarsi in verticale su un muro di carne. Alla fine giacciamo nudi uno accanto all’altra, con addosso l’odore del sesso e l’unto dell’arrosto marinato. Respiriamo esausti, e siamo cullati dalla lenta rotazione dello spiedo. Mi piace quando passiamo davanti alle piastre incandescenti e arrostiamo gradualmente.

«Non riesco a credere che Salato sia finito in quel brutto giro.» rimugino «Mi chiedo cosa diavolo gli sia passato per la testa.»

Piccante mi guarda con le sue iridi rosse e mi sussurra le parole che sempre mi rivolge dopo il sesso: «Vuoi che ti ci metta sopra un po’ di salsa allo jogurt?»

Le accarezzo i capelli e mormoro: «Grazie, tesoro, ma no.»

Sa che la salsa allo jogurt non mi piace; non capisco perché me lo chieda ogni volta.

«Mi dispiace per il tuo amico.» aggiunge «Sicuro di non volerci un po’ di salsa allo jogurt sopra? Neanche un cucchiaino?»

«No!» sbotto «Mi fa schifo la—» ma m’interrompo súbito perché, all’improvviso, mi è tutto chiaro.

* * *

Un pagliaccio gonfiabile mi sorride. Sogghigno in risposta e lo allontano con una sberla.

Ha appena smesso di piovere, e le luci colorate delle giostre brillano nelle pozzanghere. Vado avanti deciso tra gli otto-volanti vuoti.

Per gran parte dell’anno questo è un parcheggio desolato, costruito su quella che un tempo era una spiaggia, ma in autunno si trasforma nel luna park di Genova.

“Piazzale Kennedy”, si chiama; il nome di un presidente morto ammazzato. Buffo posto per far divertire i bambini.

In mezzo alla strada, tra due file di autoscontri vedo un piccolo chiosco dello zucchero filato. Dietro ad esso c’è Dolce. Indossa un impermeabile viòla e un cappello rosa. La riconosco, sebbene sia in incognito.

«Buonasera, Amaro!» mi saluta «Sei in cerca di qualche leccornia?»

«Se così fósse, l’avrei già trovata.» rispondo «Sapevo che ci saremmo rivisti, perché il dolce viene sempre alla fine.»

Lei versa dello zucchero nella macchina e l’accende.

«La notte prima che morisse,» continuo «Salato voleva parlarmi di una caponata. Mi sono chiesto a lungo perché una caponata lo angosciasse tanto. Poi mi sono detto: come si prepara la caponata? Con la salsa agrodolce. Ho fatto una chiacchierata con Acida, e lei si è lasciata scappare qualche allusione. È la tua amante, vero? Salato vi ha scoperte insieme in una caponata, e ha fatto una scenata. Ha minacciato il divorzio, magari. E per questo lo hai ammazzato.»

Dolce sogghigna, e si accende una sigaretta di cioccolato.

Estraggo un cucchiaino dalla tasca.

«Questo era nel bar dove Salato è stato ucciso.» spiego «In un primo momento ho pensato che fósse l’arma del delitto. Ma la scientifica mi ha detto che Salato non era stato rimescolato. Allora a cosa serve un cucchiajo vicino a un cappuccino? È chiaro: per lo zucchero. Questa è la prova che l’altra notte eri in quel bar. La Polizia del Sapore ha trovato tracce di zucchero sul fondo della tazza.»

«Quella con Acida è stata solo un’avventura.» racconta lei «Salato era un uomo peggiore di quanto ricordi. Aveva un pessimo gusto; mi tradiva con un dolcificante da quattro soldi!»

«Cerchi solo di edulcorare i fatti.»

«Giusto, e non ne ho bisogno.»

Tira fuori una pistola ad acqua da sotto il cappotto.

«Non fare sciocchezze! È caricata a Nesquik. Nemmeno tu puoi sopravvivere a una tale concentrazione di zucchero. E ora, salta dentro la macchina!»

Dolce è uno dei gusti più potenti del mondo, ed è molto forte a discapito delle apparenze. Mi scaraventa nella grande conca metallica: cado sul fondo, mi rialzo súbito, ma i bordi sono troppo lisci per arrampicarmi.

«Pensavi di potermi incastrare?» tuona lei «Tutti i nomi dei gusti indicano qualcosa di sgradevole o negativo, l’hai notato? Tranne il mio! Io sono il sapore che tutti amano e desiderano, e tu cosa sei? Il gusto della depressione e dei medicinali. Senza di te questa città sarà un posto migliore!»

Fili impalpabili di zucchero bollente iniziano a piovermi addosso dal cilindro centrale, e in breve mi soffocano. Ma non mi arrendo senza combattere: estraggo il cespo di insalata belga, amarissimo e tagliente, che sempre mi porto dietro, e faccio a pezzi la nauseante ragnatela intorno a me. Ci sono troppi fili: sento intorno al mio corpo una nuvola scricchiolante, che mi oscura la vista e m’impedisce i movimenti…

…ma questa volta non vincerai, Dolce, perché, dopotutto, questa città ha bisogno di me. Tutti pensano che Genova sia un posto pieno di gioja e di calore, perché è nel Sud dell’Europa, bagnata dal Mediterraneo. La verità è che nell’intero continente non esiste un luogo più cupo di questo. Non te ne sei accorta? I genovesi non sono esseri umani, sono personificazioni dell’amarezza; come me. Da ciò proviene la mia energia: il padrone di questa città sono io, non tu.

Con la forza di questo pensiero, afferro l’insalata belga con entrambe le mani e squarcio lo zucchero filato che mi intrappola. Quindi mi aggrappo a un bastoncino di legno, che una bambina ha teso nella conca per raccogliere lo zucchero, e salto fuori. Roteo attorno al bastoncino e disarmo Dolce con un calcio, poi balzo a terra e, prima che possa scappare, l’ammanetto.

«Mi dispiace, bambola.» dico «A Genova non c’è posto per la dolcezza.»

«Maledetto detective Amaro!» grida lei.

Proprio in quel momento sopraggiunge la Polizia del Sapore, a bordo di una zuccheriera blindata.

Consegno loro Dolce, e mi allontano: non mi piace essere ringraziato. Ora, tesoro, ti farai qualche anno in un barattolo.

La bambina e sua nonna mi guardano a bocca aperta.

«Lo zucchero ti fa male.» avverto, e le strappo il bastoncino di mano. Al suo posto metto l’insalata belga.

«Mangia questo, ragazzina.»

La bambina guarda l’insalata e la sua faccia diventa triste.

Ora sembri una vera genovese, penso, e me ne vado soddisfatto.

Noto che in una macchina dei pop-corn c’è un marmocchio imprigionato. Mi guarda e bussa sul vetro. Apro la vetrina: scivola per terra in una frana di pop-corn, poi balza in piedi.

Ha i capelli e le sopracciglia completamente bianchi.

«Ciao Amaro!» squittisce il ragazzino.

«Salato!» esclamo «Ti sei già rigenerato?»

«Non ne ho idèa.» risponde «Mi sono svegliato qua dentro. Il venditore si è spaventato ed è córso via. C’è voluta un’eternità perché qualcuno mi aprisse.»

«Pensavo che ti avrebbero estratto da una miniera.»

«Là vendono i waffel! Mi compri un waffel?»

«No. Devi smetterla di correr dietro ai dolciumi. Piuttosto ti porto a sparare. Ti piace il tiro a segno, no? Una volta mi hai raccontato di come ti infilavi nelle munizioni.»

Salato si dà una pacca sulla fronte.

«Ho dimenticato una cosa!»

Corre alla macchina dei pop-corn e torna indietro con un pacchetto.

«Un uomo col cappuccio l’ha lasciato vicino al vetro.» spiega «Ha detto che dovevo darlo a te.»

Apro l’involto: contiene un krapfen. Sulla carta qualcuno ha scritto:

Ti ricordi di me?

«Quindi le voci sono vere.» commento.

«Cosa vuol dire?» chiede Salato.

«Fritto è evaso dalla Pentola di Massima Sicurezza,» rispondo «e vuole regolare i conti con me.»

Sogghigno.

«Non vedo l’ora.»

E mentre lo dico, do una pacca alla mia padella antiaderente: ce l’ho sempre nella fondina, in attesa di questo giorno.

1Non è un eufemismo; la mia attuale abitazione è davvero una bottiglia di amaro. Non è troppo spaziosa, ma ha una bella vista su uno skyline di vodke.

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