CONDENSA Pt.2

di Nicolò Bertirotti

Il ronzio proveniente dalla cucina tentava di contrastare quello dell’aria condizionata. Per tutta casa un concerto di apparecchi elettronici, tutti ben oltre la loro aspettativa di vita, emettevano suoni e colpi come ad esprimere il loro estenuante sforzo per la sopravvivenza. Il caldo e l’umidità dell’aria consumavano i loro componenti così come consumava tutto e tutti in quella parte del mondo, macchine e uomini uniti nel destino comune del consumarsi.

<Abuelito, noi siamo qua?>

<Sì amore, quel puntino lì, Azul.>

<E qui cosa c’è?> chiese la bambina indicando la grossa macchia grigia proiettata dall’oloschermo del nonno.

<Lì c’è Buenos Aires. È lì che è nato nonno, e anche la tua mamma. È una delle città più grandi dell’U.F.A. del sud.>

La nipotina sembrò non ascoltarlo mentre con la manina faceva scorrere la mappa satellitare di quello che una volta era il Sud America. Anche Santiago restò in silenzio, seduto sul divano a fissare l’ologramma; sotto gli occhi gli scorrevano distese e distese di campi automatizzati, una sconfinata landa che circondava il piccolo nodo merci di Azul, campi che terminavano con le periferie della gigantesca megalopoli a est. Non che lo scenario fosse mai stato tanto diverso: a sua memoria lì c’erano sempre stati campi, ma ricordava anche qualche macchia verde oppure piccoli laghi e fiumi; ora solo campi, anche i villaggi si erano svuotati per fare spazio alla coltivazione intensiva o a centri di produzione proteica. Non un solo uomo, solo macchine automatizzate incessantemente al lavoro; era vietato andare in quelle zone senza autorizzazione, figuriamoci viverci. Santiago rammentava quando non era così, prima della guerra, da bambino, quando uno poteva spostarsi quasi ovunque per gli stati della federazione; poi era cambiato tutto. Con la guerra si era dovuto concentrare e gestire la gente; suo padre si occupava di questo nel loro distretto, lui lo sapeva bene, le città già ingestibili divennero gli inferni che sono oggi, pozzi soffocanti senza possibilità di uscita. S’intende che questo genere di restrizioni non si applicava a chi si poteva permettersi i lasciapassare, né ai pochi fortunati, come lui, che per lavoro venivano mandati altrove. Come Azul, quel puntino all’ombra della soffocante macchia grigia. La grossa mappa luminosa improvvisamente scomparve, così come i pensieri di quel vecchio uomo: una notifica di chiamata ora galleggiava a mezz’aria nel centro della stanza. Santiago sbuffo, alzò la nipotina, visibilmente contrariata, dalle sue ginocchia, ridusse l’immagine al piccolo schermo del suo dispositivo da polso; intanto la notifica continuava a squillare nel suo impianto auricolare.

<Tieni amore, tra poco si cena>

Diede alla bambina una piccola tavoletta digitale per colorare, e con quello che sembrò uno sforzo immane si alzò dal divano. Lei ignorò la tavoletta e con un piccolo gesto della manina accese l’antiquato schermo a parete.

<Accetta chiamata.>

Il volto di un ragazzo in divisa corporativa cominciò a galleggiare  a poca distanza da lui.

< Capitano Myers, buonasera, sono Franco del centro comunicazioni. C’è una chiamata di intervento nel suo settore.>

<No, no! Non deve chiamare me, deve chiamare il Sergente Medina. È lei di turno questa sera.>

Non fece a tempo a finire la frase che il ronzio dalla cucina si interruppe, sostituito da uno squillo: la cena era pronta.

<Signore, dal suo stato il Sergente Medina risulta impegnata, ed è lei il nome successivo nella lista.>

E anche l’ultimo, pensò Santiago, oramai erano rimasti in sette della polizia civile a coprire poco più di cento mila persone al nodo merci di Azul: di questi solo lui più altri due erano graduati, Medina e il Tenente Correa, suo secondo e suo prossimo successore. Ormai faceva tutto lui in centrale come sul campo, Santiago si limitava a fare un po’ di burocrazia in ufficio e le riunioni con la gestione civile locale; ma quel giorno Correa era via a far curare la moglie a Buenos Aires.

<Signore, è ancora lì? Le inoltro la segnalazione?>

Santiago riemerse dai suoi pensieri.

<Sì, sì, mi mandi tutto, buona serata.>

Interruppe la comunicazione senza neanche aspettare una risposta. Si trovava in cucina, aprì il forno ed estrasse le due scatole di cena precotta appoggiandole sul tavolo. “Ora la parte più dura della faccenda” pensò trascinandosi fino in fondo al corridoio. Bussò alla porta del bagno.

<Maria! Devo parlarti apri.>

Maria aprì la porta avvolta in un asciugamano.

<Che c’è? Dài che faccio tardi, dimmi!>

<Brutte notizie. Ho ricevuto una chiamata, mi sa che devi annullare la serata.>

<Dài cazzo, papà, lo sai da quanto aspetto di farmi una serata fuori! Non puoi mandare uno di quei quattro sfigati che lavorano per te?>

<Non sono sfigati, e no, sono tutti impegnati. Piccola, mi spiace. Lo sai che preferirei mille volte restare qui a guardare i cartoni con quel piccolo zombi di tua figlia, ma devo andare. Mi spiace.>

<Sei uno stronzo lo sai?>

<Sì, lo so. La cena è pronta, devi solo aprire le scatole.>

Prima di voltarsi diede un bacio sulla fronte ancora bagnata di Maria.

<Ma non mangi niente?> chiese lei seguendolo in corridoio.

<No, ma grazie. Mangia pure tu. Ciao, amore! Non saluti il nonno?>

La piccola sembrò non sentirlo.

<Titi, saluta il nonno avanti!> urlò la madre con tono severo.

<Ciao, abuelito.> rispose infine la piccola senza levare gli occhi dallo schermo. Santiago sorrise in direzione della figlia e le diede un altro bacio, questa volta sulla guancia.

<Ma vai da solo? A quest’ora?>

<Amore non vado a una sparatoria, è solo…> si interruppe per guardare la notifica sul suo dispositivo, <sospetto omicidio, probabilmente un vecchio come me sarà scoppiato dal caldo e a me toccherà scrivere un rapporto. Tra qualche ora torno, non aspettarmi>.

Fuori dall’appartamento una ventata di caldo umido lo investì come una secchiata di acqua di fogna. Cazzo, che caldo, pensò Santiago. Salì sulla sua areocella e accese subito l’aria condizionata.

<Sistema, mostra notifica segnalazione.>

Il rapporto inviatoli dal centro comunicazione gli scorse davanti a gli occhi. SOSPETTO OMICIDIO num\prt. 0034F23Z  ritrovamento corpo a seguito di segnalazione….bla bla bla, indirizzo C. de las Carretas…

<Portami là.>

A quel comando il veicolo si alzò dolcemente da terra con una leggera scossa, superando il livello delle case per poi procedere in avanti, sorvolando la strada. Azul non era un bel posto: era un nodo merci, uguale ad altri mille, costituito da isolati perfettamente quadrati come un’enorme scacchiera, ma non era invivibile: le case ed i magazzini erano bassi, non superavano mai i cinque o sei piani. A parte il piccolo centro con i condomini dei corporativi di basso e medio livello, i massimi gradi per un nodo merci, le strade erano strette ma, diavolo, potevi vedere il cielo, e non era poca cosa, specialmente per uno come lui nato e cresciuto in città, dove il cielo non si vede mai a meno che tu non sia una riccone da attico al cinquantesimo livello. L’aria ad Azul era anche più respirabile, a parte le giornate in cui soffiavano dai campi venti chimici carichi di fertilizzanti, ma tutto sommato la cosa che contava davvero era il non essersi mai pentito della sua decisione. Quindici anni prima Santiago aveva preso il grado di capitano e aveva chiesto il trasferimento. Sua figlia non era contenta ma lo aveva seguito comunque: sperava in un posto rurale o meglio ancora turistico, ma ai primi non serve un comando di polizia, figuriamoci un capitano, mentre i secondi erano i premi pensione per quelli che stavano più in alto di lui nella catena alimentare. Così lo avevano assegnato ad Azul: lì c’era un posto vacante da capitano. Aveva accettato senza pensarci pur di fuggire dalla città e dai suoi problemi. Superato lo shock iniziale e disintossicato dalle logiche della metropoli, si era reso conto che essere il capo della polizia di una piccola cittadina aveva i suoi vantaggi. Aveva trovato un buon posto di lavoro alla figlia grazie ai suoi nuovi agganci derivanti dalla posizione, e quando era arrivata la nipotina aveva potuto mandarla in una scuola come si deve, quella dove andavano anche i figli dei corporativi locali, una scuola con un giardino; in città sarebbe stato impensabile!

L’areocella seguiva la linea della strada poco illuminata, sotto saracinesche abbassate e piccoli locali con poca gente seduta per strada a bere. Sopra le stelle, e le file di aerotrasporti da e per la città come una immobile linea nera sospesa nel cielo.

<Chiama Medina.>

L’immagine del profilo della giovane sergente apparve sull’oloschermo in attesa di una sua risposta.

<Buonasera, Capitano, cosa succede?>

<Buonasera Sergente. Mi hanno affibbiato una chiamata, sto andando verso la periferia sud, un sospetto omicidio. Tu ne hai ancora per molto?>

Il sergente cambiò le impostazioni del suo dispositivo e la sua immagine da mezzo busto passò a figura intera, mettendo a fuoco lo sfondo alle sue spalle.

<Vede signore?>

<Sì, vedo, vedo. È un areocargo quello?>

La scena era buia e confusa, ma sembrava che uno di quegli enormi porta container fosse precipitato su una casa.

<Sì, signore. Pare abbiano provato a rubare il carico in remoto ma qualcosa è andato storto, ed è finito su di un centro di stoccaggio. Nessun ferito, ma sto aspettando gli ispettori corporativi della Valsanto per passar loro la cosa e constatare i danni. Ne avrò ancor per molto. Mi spiace, signore.>

<Non ti preoccupare, Sergente. Me la caverò da solo. In ogni caso c’è un ratto ad aspettarmi lì.>

<Se c’è un ratto allora è al sicuro, signore.>

Entrambi sorrisero, dopo di che si salutarono.

Giunto a destinazione il velivolo scese verticalmente in uno spiazzo davanti all’indirizzo della segnalazione: il ratto era lì ad attenderlo, svapava appoggiato a una ringhiera. I ratti, così la polizia li chiamava, altro non erano che guardie di sicurezza corporative, incompetenti senza neanche un’arma. Da tempo la sicurezza cittadina era stata appaltata in ormai tutte le U.F.A. Li chiamavano ratti perché portavano una tuta grigio topo e perché li trovavi sempre ovunque per strada, dalla gestione del traffico al prevenzione dei piccoli crimini, ma alle volte facevano più danni che altro. Pare addirittura che in alcune parti delle federazioni si comportassero più da squadristi che da forze dell’ordine, ma questo è scontato quando dài in mano a degli sbandati sottopagati la sicurezza delle persone. Ad Azul fortunatamente non era così, il tasso di criminalità era basso e la polizia manteneva il suo ruolo di indagine e supervisione: erano loro a intervenire nelle questioni importanti e se c’era da usare la forza non mancava mai l’appoggio degli androidi di sicurezza che erano nettamente più svegli di qualsiasi ratto. Sceso dal veicolo Santiago andò incontro all’agente che nel frattempo si era raddrizzato, e gli sorrideva saltellando da un piede all’altro. Dal suo aspetto trasandato e da come si agitava tutto doveva essere sicuramente un tossico.

<Caspita Capitano! Che ci fa lei qui?> chiese il ratto mostrando un sorriso sdentato.

<Sono di turno, ecco che ci faccio qui. Hai fatto tu la segnalazione?>

<No signore, sono sempre stato qua fuori, è stato il mio superiore dal centro informativo che ha ricevuto la chiamata dai vicini e ha aperto la segnalazione. C’è una puzza di carogna là che non può capire, hanno mandato dentro le mosche da remoto: loro sì hanno trovato qualcosa.>

Mosche, così venivano chiamati in mini droni da ricognizione.

<Io ho solo controllato il perimetro in attesa che arrivasse lei, ho seguito la procedura come mi è stato detto e non sono entrato, posso andare ora?>

<No. Ho bisogno che resti a sorvegliare il perimetro.>

L’agente si incurvò e assunse una faccia supplichevole senza dire nulla.

<È sicuro dentro?> chiese Santiago al ratto, che in tutta risposta alzò le spalle e si voltò dall’altra parte a guardare la strada. Santiago ignorò l’atteggiamento del ragazzo e alzò lo sguardo verso l’alto. I suoi impianti ottici segnalavano la presenza dei droni di supporto sospesi a una decina di metri in attesa di conferma, aprì una comunicazione con il network automatizzato che gestisce tutto il sistema e impartì l’ordine. <Autorizzato impiego supporto tattico e scientifica.>

I due droni, prima seminascosti nell’oscurità del cielo notturno, si illuminarono improvvisamente e cominciarono a calare a terra il loro carico: ognuno trasportava un grosso contenitore lungo circa due metri. Il primo a toccare terra fu il tattico: lampeggianti blu avvisavano che la polizia era arrivata. La gente con timore si affacciò dalle finestre e i balconi per vedere che succedeva. La grossa scatola si aprì e per mezzo di binari fece uscire tre androidi di sicurezza. Erano vecchi modelli di una decina d’anni tutti ammaccati, questo passava il comando territoriale, ma a Santiago andava bene comunque: aveva fiducia in quei cosi, di rado mancavano il bersaglio. Anche il secondo contenitore, una volta sganciato, con modalità simili a quello precedente mise in campo l’androide della scientifica con attrezzature e mini droni di supporto. A Santiago facevano sempre un po’ impressione gli androidi della scientifica: a differenza di quelli della sicurezza con due braccia e due gambe, che davano loro un aspetto più rassicurante, questo si muoveva su sei zampe strette e lunghe e disponeva di diverse braccia snodate. Il suo muoversi a scatti, inoltre, lo faceva assomigliare ad un grosso ragno bianco. Pienamente operativi, tutti gli androidi restarono immobili e scannerizzarono l’ambiente circostante in cerca dell’agente in comando. Quando uno di questi lo identificò, passò l’informazione al network e tutti si voltarono all’unisono verso di lui, avvicinandosi.

<Buonasera, Capitano. Attendiamo istruzioni.> disse il più vicino con una voce campionata. Santiago li indicò con il dito assegnando ad ognuno un nominativo.

<Uno, Due, con me di supporto, Tre, sorveglia il perimetro, Scientifica, attendi istruzioni.>

I droni annuirono ed emisero una notifica di assenso eseguendo immediatamente i compiti.

Una fatiscente scala in cemento portava all’indirizzo della segnalazione. Sembrava un vecchio magazzino convertito in appartenenti. Una grassa signora si affannava a farsi aria con un ventaglio mentre assisteva alla scena; si sporgeva da un balcone esattamente sopra la porta di ingresso, e con tonto rude urlò in direzione di Santiago <Ce ne avete messo di tempo! Sono giorni che non si respira dalla puzza, qua non abbiamo tutti l’aria condizionata sa!?>

In effetti già a qualche metro dalla porta la puzza era insopportabile.

<Torni dentro signora,> intimò Santiago, <dopo verrò a farle qualche domanda.>

Arrivato sulla soglia si posizionò in fronte all’ingresso, pronto a bussare, ma un androide della sicurezza si frappose tra lui e la porta.

<Signore, sarebbe meglio per lei spostarsi da un lato.>

Lui annuì con imbarazzo e seguì il consiglio. Aveva fatto questo genere di cose centinaia di volte nella sua carriera, ed era anche bravo; si stupì del suo errore, ma era passato tempo dall’ultima volta in cui aveva compiuto un’irruzione e stranamente si sentiva nervoso. Appoggiò la spalla sul muro accanto alla porta, Due fece altrettanto dall’altro lato, Uno si mise in fronte all’entrata: in caso di scontro armato sarebbe stato lui sulla linea di fuoco, ma a differenza di Santiago, l’androide si poteva riparare. L’uomo ricacciò la sua agitazione nel profondo, mentre i suoi polmoni si gonfiavano di quel tanfo nauseante, poi urlò: <Polizia Civile, aprite la porta! Dobbiamo ispezionare l’appartamento!>

Nessuna risposta. Diede un paio di calci alla porta e ripeté l’avvenimento, questa volta a voce più bassa; niente, i sensori gli indicavano che nessun segnale personale registrato era presente dentro la struttura.

<Uno, Due, aprite la porta e fate irruzione.>

Emessa la notifica di ordine ricevuto, gli androidi si misero all’opera. Lampeggiati blu si accesero sulle loro spalle, Uno avvicinò la mano al lettore della chiave e sbloccò la serratura. Due alzò l’arma e aprì velocemente la porta; da brave macchine entrarono ignorando il tanfo fetido che improvvisamente uscì dal varco.

<O Signore, che schifo!> imprecò la donna sul balcone infilandosi finalmente in casa. Santiago si trattenne dal non vomitare e si allontanò di qualche passo. Seguiva il video della perquisizione dei due androidi in diretta sul suo impianto retinico: l’ambiente era buio e questi si muovevano troppo veloci, ma aggirandosi per le stanze i loro sensori non individuavano nessuna forma di vita.

Pochi minuti di attesa e Uno lo informò che non vi erano minacce e che l’ambiente era libero. Apparve un marker nel punto dove si trovava il corpo di un essere umano che presenta tracce sospette di una possibile morte non naturale o accidentale.

Che palle, pensò Santiago, si prospetta una lunga notte.

<Scientifica!> urlò all’androide, <tocca a te. Entrate, arieggiate l’ambiente ed eseguite il protocollo standard.>

Si allontanò ulteriormente e tirò fuori la sua sigaretta elettronica al mentolo: questo gli avrebbe pulito un po’ la bocca dal puzzo di carogna. Scese le scale in una nuvola di svapo, e raggiunse il ratto.

<Sei libero ragazzo, ci pensiamo noi qua. Grazie.>

L’agente non se lo fece ripetere due volte, fece un gesto con la mano e saltellando si allontanò per un vicolo che portava verso il centro. Santiago aprì il suo oloschermo tracciò un cerchio sulla mappa con al centro la casa segnalata. In automatico inoltrò una notifica a tutti i dispositivi personali della zona circoscritta: la notifica avvisava che era in corso un’operazione di polizia e che se qualcuno fosse stato in possesso di informazioni era pregato di rispondere sui canali indicati. Questo era davvero il minimo richiesto dalla procedura, non sapeva neanche cosa fosse davvero successo là dentro. Guardò verso l’alto, lo svapo mentolato si illuminava alla luce dei lampioni comprendo la vista del cielo scuro senza luna.

Che opzioni ho? si chiese il Capitano. Sto qua fuori e aspetto Medina e mollo a lei questa rottura di palle? Quanto ne avrà ancora con quel trasporto precipitato? No, poveraccia, il suo turno finisce tra poche ore. Dài, quanto sarà mai complicata questa cosa? Un regolamento di conti, contrabbandieri, un po’ di scartoffie e lo archivio, così faccio vedere ai ragazzi in ufficio che il mio vecchio culo sa fare altro oltre scaldare la poltrona. Però cazzo, me la sono guadagnata la mia poltrona, non dovrei dimostrare un cazzo a nessuno!

Rimase a fissare il cielo pensando alla scelta da fare. Dentro o fuori? Dentro o fuori? Che caldo, cazzo.Abbassò la testa e guardò verso la casa con la porta spalancata. Vide che tutte le finestre erano state aperte dagli androidi. Fece un altro tiro, poi sbuffò dalla frustrazione. La sua faccia fu avvolta da una nebbia umida, aveva fatto la sua scelta. Non lo sapeva ancora, ma si trattava di una pessima scelta.

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